Aiutaci a conoscere e sconfiggere il Citomegalovirus:
un grosso e sottovalutato nemico per la mamma e il suo bambino.
Cos’è il CMV
Il citomegalovirus o CMV appartiene alla famiglia degli Herpesvirus che comprende i più noti herpes labiale e genitale e il virus della varicella. Chi ha già avuto l’infezione non è immune completamente, quindi può contrarre una reinfezione. Infatti, l’infezione da CMV si distingue in primaria o ricorrente, che a sua volta è distinta in riattivazione (da ceppo virale già presente nel soggetto) e reinfezione (da ceppo virale diverso da quello che ha già infettato l’organismo).
Le vie di contagio principali sono la saliva, il sangue, le urine e i rapporti sessuali. In casi molto rari il virus si trasmette in modo indiretto, attraverso l’utilizzo di oggetti comuni, come un bicchiere, uno spazzolino da denti o, importante per i bambini, un giocattolo. Nei soggetti immunocompetenti quali gli adulti, il contagio non è semplice perché richiede un contatto protratto con materiale contenente una discreta concentrazione di virus, come nel bacio “francese”. Spesso la trasmissione avviene in modo inconsapevole, perché la persona infetta in molti casi non sa di esserlo, per l’assenza di sintomi tipici.
I sintomi
Il CMV è un virus subdolo, che s’insinua nell’organismo spesso in punta di piedi, senza far presagire in nessun modo la sua presenza. Infatti, l’infezione generalmente causa solo una leggera febbre o senso di stanchezza, che spesso vengono ignorati o attribuiti ad altre cause, come influenza o stress. A volte, però, causa una sindrome mononucleosica protratta, con febbricola, stanchezza notevole e dolori muscolari. Inoltre non si comporta con tutti nello stesso modo. Nelle persone immunodepresse, cioè con ridotte difese immunitarie come i malati di Aids e di tumore o i trapiantati, il virus può essere all’origine di malattie gravi, quali polmoniti, epatiti o encefaliti.
Purtroppo anche la gravidanza è associata ad una transitoria immunodepressione, necessaria per evitare il rigetto del feto. Questa condizione favorisce non solo il contagio della gestante da parte del CMV, se non ha mai contratto l’infezione, ma anche la riattivazione o reinfezione, se il virus è presente prima della gravidanza. Infatti il CMV, come gli altri herpesvirus, è capace di rimanere allo stato latente per tutta la vita nelle cellule infettate e riattivarsi in condizioni immunitarie favorevoli. Tuttavia, la presenza di anticorpi anti-CMV prima della gravidanza assicura una protezione per il 75-80%, per cui il feto è infettato prevalentemente in seguito ad infezione materna di tipo primario.
Come evitare l’infezione
Per limitare il rischio di contrarre infezione primaria o una reinfezione in gravidanza, le precauzioni più importanti sono di natura igienica:
- lavarsi spesso le mani, specie dopo aver toccato la bocca o il naso del bambino e dopo averlo cambiato;
- evitare contatti troppo ravvicinati con i bambini;
- non mettere in bocca il ciuccio del bambino e non condividere posate o bicchieri;
- evitare i luoghi molto affollati, come gli autobus.
Il cmv e la gravidanza
La più frequente e pericolosa infezione materno-fetale è causata dal CMV, che è presente in circa 1 neonato su 100 (toxoplasmosi 1:400; rosolia 1:5000) e responsabile non solo di danni fetali ma anche di abortività e sterilità.
Il rischio di trasmissione varia a seconda che si tratti di una prima infezione, cioè se è la prima volta che la madre contrae la malattia, oppure di una reinfezione. Nel primo caso il rischio di trasmissione al bambino è del 30-50%, mentre nel secondo la trasmissione è rara, per quanto non ancora stabilita.
Se il CMV colpisce nei primi mesi il feto di una gravida che non ha mai avuto l’infezione, può avere effetti molto seri, perché l’organismo fetale non ha sviluppato ancora difese immunitarie, di conseguenza è privo di ogni tipo di protezione. Dei neonati infetti (circa 5000/anno in Italia), almeno il 10% presenta manifestazioni cliniche. Tra queste le più gravi sono neurologiche, quali sindromi convulsive, microcefalia, idrocefalo, calcificazioni e difetti di sviluppo delle circonvoluzioni cerebrali, atrofia cerebrale e cerebellare. L’infezione encefalica prenatale è associata a due tipi di processi neuropatologici: 1) lesioni flogistiche o distruttive; 2) alterazioni proliferative o teratogene, da alterato sviluppo e migrazione dei neuroni. Le alterazioni nel mantello subependimale e nei neuroni delle aree periventricolari possono essere notevolmente estese, fino alla comparsa di microcefalia e calcificazioni. I difetti di migrazione delle cellule grigie, che avvengono all’inizio del secondo trimestre di gravidanza e interessano la corteccia cerebrale e cerebellare, costituiscono la più caratteristica lesione neurologica da CMV e si manifestano con polimicrogiria (nel 65% dei casi), lissencefalia, pachigiria, schizencefalia ed eterotipie neuronali. Conseguenza purtroppo frequente di queste encefalopatie sono gravi ritardi psicomotori e sindromi spastiche. Inoltre, in almeno il 20% delle infezioni sintomatiche alla nascita e nel 5% di quelle asintomatiche, si sviluppa una sordità neurosensoriale, che è seguita da mutismo quando è bilaterale. Una percentuale ignota, probabilmente elevata, di sordità, encefalopatie congenite, disturbi mentali e comportamentali, potrebbe essere dovuta ad infezioni da CMV non diagnosticate alla nascita. Altre manifestazioni cliniche importanti dell’infezione congenita sintomatica sono polmonite ed epatite, talora persistenti ed evolventi in fibrosi, danni oculari (microftalmia, cataratta e corioretinite) e gastroenteropatie (reflusso gastro-esofageo, enterocolite emorragica), probabilmente conseguenti ad infezione delle cellule gastro-intestinali da parte del CMV contenuto nel liquido amniotico, che viene continuamente ingerito dal feto ed eliminato con le urine.
I prematuri con mononucleosi da CMV trasfusionale o trasmesso col latte materno possono manifestare shock, polmonite, trombocitopenia e nefropatia. L’infezione perinatale si trasmette durante il passaggio del feto nel canale del parto oppure in seguito a contagio del neonato da parte del sangue o del latte materni. Nei neonati prematuri o di basso peso, le trasfusioni di sangue sono un’importante via di trasmissione e di malattia. Per evitare la trasmissione col latte materno, questo dovrebbe essere riscaldato fino a 70 gradi per un minuto per inattivare il CMV, spesso presente.
L’infezione attiva (presenza del virus replicante, evidenziabile con la ricerca del DNA) da CMV, primaria o non, si verifica nel 3-6% delle gravide: la primaria (0.7-4%) può associarsi ad una sindrome simil-influenzale ed aumento dei linfociti e delle transaminasi.
La diagnosi tempestiva
Limitare i rischi di conseguenze per il nascituro significa soprattutto diagnosticare la presenza del virus nell’organismo materno tempestivamente.
Allo scopo, la futura mamma dovrebbe sottoporsi con regolarità, se non ha mai contratto l’infezione, almeno una volta al mese, al test per rilevare la presenza del CMV. Riconoscerlo è semplice, basta un esame del sangue che ricerca la presenza degli anticorpi (immunoglobuline) specifici. In particolare, si cercano due tipi di immunoglobuline:
- e IgG sono le immunoglobuline della “memoria” dell’infezione. Se risultano positive, vuol dire che la malattia è stata contratta in passato e quindi l’organismo ha sviluppato difese immunitarie.
- Le IgM sono invece le immunoglobuline che si formano quando c’è un’infezione acuta, primaria o, meno frequentemente, ricorrente, quindi segnalano che la malattia è in atto. Tuttavia, bisogna essere cauti perché la positività può dipendere da diverse altre cause, quali la presenza del fattore reumatoide, di auto-anticorpi, di altre infezioni erpetiche o altri fattori ignoti.
Per questo motivo uno screening prima della gravidanza e poi mensilmente dall’inizio alla fine della gestazione, è una misura preventiva necessaria e da promuovere. In questo modo, si evidenziano non solo le infezioni primarie ma anche molte positività non specifiche di IgM anti-CMV.
Cosa fare per sapere se il virus è stato trasmesso al bambino
Se viene diagnosticata un’infezione primaria, per la diagnosi d’infezione fetale è necessaria l’amniocentesi per la ricerca del virus nel liquido amniotico, a distanza di almeno 6-8 settimane dalla presunta viremia (presenza del virus nel sangue materno). Tale intervallo corrisponde al tempo necessario al virus per superare la barriera placentare. Anche se a volte l’infezione fetale si realizza in tempi inferiori, è necessario osservare queste regole per evitare falsi negativi (amniocentesi troppo precoce). L’eventuale infezione fetale non è equivalente a malattia fetale da CMV: sono necessari controlli ecografici frequenti e accurati per evidenziare possibili danni precoci, quali ritardo di crescita intrauterina, epatosplenomegalia, ventricolomegalia, ascite, pielectasia, oligo/polidramnios. Si possono evidenziare anche anomalie ecografiche più gravi e generalmente tardive (dalla 26ª settimana) come microcefalia, idrocefalo, calcificazioni, idrope. Alcune manifestazioni ecografiche fetali possono regredire spontaneamente nelle gestanti con infezione non primaria. A causa della scarsa conoscenza del grave problema sanitario rappresentato dall’infezione congenita da CMV, conseguente soprattutto alla mancanza di protocolli diagnostici in gravidanza, non esiste ancora una terapia anti-CMV basata su linee-guida nazionali o internazionali, sia in gravidanza che nel neonato.
Il cmv congenito: diagnosi
La diagnosi d’infezione da CMV nel neonato è basata essenzialmente sulla ricerca del DNA virale quantitativo nel sangue, nelle urine e in altri campioni potenzialmente utili (es. il liquor in caso di sospetta encefalopatia), oltre che delle IgM (che possono essere falsamente negative) e IgG anti-CMV nel siero. La persistente positività del DNA virale nel sangue è associata ad una maggiore probabilità di danni acustici.